Sono stati giorni intensi, pacificanti e commoventi quelli passati a Sonnino per l’intitolazione di via dello Sciopero a rovescio, e se ne scrivo solo ora è perché le emozioni necessitano di tempo per essere metabolizzate.
Ci sono stati racconti, ricordi, parole ascoltate in pubblico che resteranno nella mente. E poi parole di amicizia, confronto, riconoscenza, dette in privato e altrettanto importanti e che porterò sempre con me.
E poi ancora i messaggi e le telefonate con parenti, amici e persone con cui, da una vita, siamo abituati a fare analisi e sintesi, e a trarre delle conclusioni. Perché così ci hanno insegnato a fare in sezione, e perché così abbiamo sempre continuato a fare.
Ci sono due grandi consapevolezze che, a livello personale, mi è parso di riuscire ad afferrare in questi giorni per me così speciali. Anzi tre.
La prima è che in molti, da diverse generazioni, e ognuno con i mezzi avuti a disposizione, hanno trasportato il proprio sasso di questa strada con la stessa perseveranza, solo per far arrivare questa storia di lotta qui dove si trova ora. Perché questa strada è sempre stata, allo stesso tempo, sia mezzo che messaggio e non ha bisogno che di essere percorsa per essere compresa. Allo stesso modo, il ruolo di ognuno di noi fortunati che abbiamo ereditato questa storia nei nostri percorsi politici ed esistenziali, è sempre stato solo uno: farla arrivare a chi la percorrerà domani, col suo messaggio forte e chiaro di lotta ed emancipazione, di impegno e unione, di disubbidienza e coraggio.
La seconda consapevolezza è che il lavoro fatto finora, che ci ha portato sin qui, non basta.
È solo l’inizio di una ricerca più lunga che necessita del supporto di nuovi sguardi, specialmente femminili. Per questo il gesto più sensato che si possa fare è mettere in comune tutto ciò che si è trovato e che si è realizzato con l’aiuto del Museo delle Terre di Confine, con la speranza che altri e altre, possano prenderlo in carico per modificarlo, stravolgerlo, correggerlo da errori e ingenuità, reinterpretarlo, così da rendere questa storia finalmente utile a tutte e tutti.
La terza consapevolezza è che, come ogni volta che torno a casa a Sonnino, mi sento parte attiva di una comunità che si tiene unita non solo grazie a legami di sangue e affettivi, ma di varie fratellanze e affinità che a volte sono politiche, altre sociali, altre ancora umane, ma sempre profonde e, per me, più ampie man mano che passano gli anni, un po’ come i cerchi della vita degli alberi.
Di pronomi personali – e chi scrive lo sa benissimo – bisognerebbe essere parsimoniosi, e usarli solo quando hanno veramente significato. Per questo oggi sono felice di utilizzare il “noi” per ricordare a me stesso, come al risveglio di un bel sogno, che a Sonnino l’abbiamo rinominata davvero quella strada dello Sciopero a rovescio che sembrava non portare da nessuna parte ma che, invece, a 70 anni di distanza continua ancora a parlarci di un futuro possibile che si può descrivere con parole semplici ma impegnative come pace e lavoro.
Ognuno con i propri linguaggi, con le proprie diversità e appartenenze
ma tutti con analoghe emozioni e con l’intento di festeggiare e celebrare finalmente la nostra memoria comune, c’eravamo tutti: il Sindaco e gli amministratori, chi aveva partecipato allo sciopero da quindicenne, i parenti e gli amici degli altri scioperanti, amici di sonnino e amici arrivati da fuori, il parroco, sindacalisti e amministratori dei paesi vicini, partiti e associazioni amiche e molti altri ancora che sicuramente dimentico perché l’emozione è ancora forte come quando, verso la fine, Laura, si è seduta e ci ha raccontato sorridendo di quando, nel febbraio del 1952, a 25 anni e appena sposata, salì su a Sonnino in moto insieme a Mario, suo marito, entrambi comunisti e sindacalisti della CGIL, per aiutare noi sonninesi a organizzare lo Sciopero a rovescio e per la prima volta da allora, percorreva di nuovo quella strada.
Poco prima il Parroco aveva benedetto la scultura fatta realizzare dall’amministrazione comunale usando parole sincere e toccanti e ricordando come, a volte, sia giusto fare le cose “alla rovescia”. E subito dopo, alcuni hanno intonato Bella ciao.
Così, dal 1 maggio 2022, “Via dello sciopero a rovescio” di Sonnino
è anche uno splendido sentiero che permette, in pochi passi, di immergersi nei suoni, nei profumi e nella vegetazione delle nostre colline senza le fastidiose notifiche dello smartphone, ché tanto lì il telefono non prende per fortuna.
Può essere percorsa con facilità e in sicurezza anche con i bambini “via dello Sciopero a rovescio”, e se vi guardate intorno e vi fermate ad ascoltarla, mentre la percorrete, vi racconterà la storia di quei disoccupati che 70 anni fa, decisero di unirsi e di mettersi a lavorare per protestare contro la disoccupazione…
Io non vedo l’ora di tornarci di nuovo con Raffaella e le bambine, perché é soprattutto con lei che ho percorso questa strada, sin dall’inizio, da quando eravamo entrambi ragazzini. Perché questa, come tante altre strade più o meno metaforiche della vita serve a ricordarci che nulla si fa e nulla si può da soli.
Grazie a tutte e tutti i Sonninesi
a chi ha organizzato, a chi è intervenuto, a chi ha partecipato anche a distanza, a chi ancora continua a emozionarsi ascoltando i racconti dei più anziani e a credere in un mondo migliore.
È stata, per me, la festa dei lavoratori più bella e significativa a cui abbia mai preso parte.
“La rivoluzione la fa chi gli serve”
(Anastasio Del Monte, Contadino e Segretario del PCI di Sonnino nel 1952)
E grazie, naturalmente a C. Paglia e a Sonnino.info per aver realizzato il video dell’evento e aver raccolto tutti i materiali in queste pagine:
30 aprile: “Via dello Sciopero a rovescio”: l’incontro >
1 maggio: Intitolazione della strada e inaugurazione del monumento >