C’è questo critico musicale, Bruno, che sta scrivendo la sua biografia ed è anche suo amico, per quanto si possa essere amici di un jazzista che ha appena perso il suo sassofono non si sa dove. E magari, a sentire lui, non l’ha nemmeno perso.
Questo Bruno, che è la voce narrante, ascolta le sue farneticazioni in sudicie stanze d’albergo parigine, che poi tanto farneticazioni non sono visto che lui, Johnny Carter, il jazzista, dice cose tipo che una volta durante una session si è rifiutato di suonare urlando “questo lo sto suonando domani” o che la metro è l’unico luogo che gli consente di percepire la dilazione del tempo. Insieme alla musica.
Insomma, conosciamo questo jazzista che sembra Charlie Parker: alcolizzato, drogato, trasandato, impossibile da frequentare secondo i comuni standard di amicizia, ma che poi suona Amorous e lascia tutti senza fiato, incapaci di decifrare le emozioni provate.
Perché proprio l’inseguitore allora?
Perché Bruno, il critico, pensa di averne compreso l’essenza scrivendone l’autobiografia:
Johnny insegue invece di essere inseguito… tutte le cose che gli stanno capitando nella vita sono gli imprevisti del cacciatore e non dell’animale braccato…
(Cortázar, L’inseguitore)
Tanto da definirlo anche con queste parole:
- un “assurdo vivente”,
- un “cacciatore senza braccia e senza gambe” e, la più poetica di tutte:
- “una lepre che corre dietro a una tigre che dorme.”
Alla fine, magari Johnny Carter non è nemmeno Charlie Parker.
O meglio: magari è solo una variazione sul tema, un’improvvisazione della figura archetipica del jazzista nella mente di Cortàzar. Chi lo sa.
Fatto sta che ascolto Lover man di Charlie Parker mentre penso e ripenso alla frase: “Questo lo sto suonando domani”.