Da vivo aveva creato l’Intrattenimento per trascinare Hal verso l’esterno.(Aaron Swartz sulla fine di Infinite Jest)
Aaron Swartz, che conoscevo solo per la storia del suo contributo alla creazione dei Feed-RSS a soli 14 anni, per la collaborazione alla nascita dei Creative Commons e per poco altro, ha partecipato da programmatore e attivista, alla creazione di numerosi servizi e siti largamente utilizzati e, come avrete senz’altro letto, ha deciso di smettere di far girare la sua brillante mente pochi giorni fa, a 26 anni, per sempre.
Nella sua vita professionale, Aaron Swartz ha sempre avuto tra i suoi obiettivi quello di rendere i contenuti di Internet il più possibile gratuiti e aperti al pubblico. (da La storia di Aaron Swartz, il Post)
Massimo Mantellini ha scritto che era un “hacker buono“.
Abbiamo bisogno, dalle nostre parti, proprio per quel “provincialismo imbarazzante” di cui parla lo stesso Mantellini in un’altra bella riflessione su Swartz di aggettivi di questo tipo a causa di un fraintendimento culturale legato all’utilizzo del termine hacker che non ha nulla di negativo anzi, a ben vedere già contiene tutta la filantropia, l’altruismo, l’etica dell’apertura, della condivisione e del libero accesso alle tecnologie in sé.
Aaron Swartz era un hacker
Ed era un hacker innanzi tutto perché il suo cervello non si fermava mai al Consumo ma rifaceva “il giro” e tornava alla Produzione.
Come si vede nel Capitolo 1, la condizione di Hal peggiora fino a che non riesce letteralmente a comunicare in nessun modo, ma non si sente più come un robot. (p. 14: “ Non sono una macchina. Sento e credo.”) L’unica cosa che gli resta è il tennis e non vede l’ora di giocare contro Ortho Stice nel match finale del WhataBurger.
Ma siccome questi è posseduto da suo padre (nel manoscritto Stice veniva ribattezzato ‘the Wraithster’[lo spettrico]), quindi il romanzo finisce quando Hal riesce a interfacciarsi veramente con suo padre – nell’unico modo che gli rimane.
Intuisco (da molto lontano) le sue brillanti modalità di ragionamento grazie a queste riflessioni che si potrebbero definire “minori”, e che gli amici dell’Archivio DFW hanno voluto per la prima volta (grazie!) tradurre oggi in italiano per rendergli omaggio.
Sono tratte da un suo post del 2009 che si chiama
“Cosa succede alla fine di Infinite Jest? (ovvero, la spiegazione del finale di Infinite Jest)”
E sono un delizioso e divertente modo di mostrare come reagiscano le sinapsi di un hacker rispetto a quelle di un “utente” comune come il sottoscritto davanti al medesimo oggetto (il romanzone di Wallace, appunto).
Le trovate, le riflessioni di Aaron sulla fine di Infinite Jest, cliccando qui o sull’immagine.
Se avete letto IJ potete scommetterci, alcune vi sorprenderanno a tal punto che vi faranno riprendere di nuovo in mano il libro.
Su Wired Caterina Visco ricostruisce le “sproporzionate” vicende legali di Swartz che potrebbero essere state la causa, insieme alla depressione, del suo gesto.
La famiglia di Aaron, nel frattempo, ha messo online un sito a lui dedicato, aperto a tutti i contributi.
Mi è sembrato splendido e coerente.