Ecco una cosa difficile da immaginare: essere uno scrittore così creativo che, quando muori, il linguaggio ne rimane impoverito.
Questo è ciò che ha compiuto il suicidio di Wallace […].
Non è stata solo una cosa triste, è stato un colpo durissimo.
(J.J. Sullivan 2011, Troppa informazione)
Per ricordare la scomparsa di Wallace avvenuta quattro anni fa, gli amici dell’Archivio DFW hanno deciso di tradurre a pubblicare, per la prima volta in Italia, un articolo di J.J. Sullivan uscito a maggio 2011 sulla rivista GQ:
Seguendo il link o cliccando qui sopra potrete leggerlo integralmente.
Grazia a Roberto e Andrea per il lavoro di traduzione.
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Quando dicono che Wallace era uno scrittore generazionale, che “parlava per una generazione”, c’è un modo in cui questo è quasi scientificamente vero.
Tutto quello che sappiamo su come la letteratura viene prodotta suggerisce che c’è un legame tra il talento individuale e la società che lo produce, l’organo sociale.
Le culture generano geni come un alveare trova una nuova ape regina quando la vecchia muore, ed è facile ora vedere Wallace come uno di questi geni.
Ho il ricordo, abbastanza netto da sapere che non è solo il senno di poi, di averne sentito parlare e poi di aver letto per la volta Infinite Jest quando avevo 20 anni, e la sensazione immediata: eccolo.
Uno di noi sta provando a fare questo.
Il “questo” stava per tutto questo, ossia il provare a a catturare la sensazione di vivere in una superpotenza frammentata alla fine del ventesimo secolo.
È arrivato qualcuno con un intelletto potenzialmente abbastanza forte per rispecchiare questo spettacolo con una serietà morale abbastanza profonda da voler essere in prima linea.
Non si può dire che nessuno dei suoi contemporanei – anche quelli che in quanto ad abilità potevano competere con lui – abbia rischiato un fallimento così grande quanto Wallace.
(J.J. Sullivan 2011, Troppa informazione)
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