Ho visto Inception. Due giorni fa. E sono due giorni che penso a come dire quello che voglio dire.
Premessa: Inception è un film da vedere al cinema. ora. Non leggete questo post se non l’avete visto. Non sono il tipo che va in giro a rovinare le trame agli altri.
Premessa (bis): Inception è uno di quei film che “andrà di moda” e che tutti tenteranno di “smontare” e “interpretare” (fra poche righe cercherò di farlo anch’io, per dire). Quindi Corsi di storia/critica/sociologia del Cinema sappiatelo: quest’anno sarete sommersi da tesine di questo tipo:
- “Gli Universi paralleli nel cinema post moderno: da Matrix a Inception”
- “Mondi sommersi dell’inconscio: da Psycho a Notorius, da Woody Allen a Batman”
- “Paradossi, rizomi e rimosso: la matematica al servizio del cinema e della psicanalisi”
- “Arte e cinema: quando la grafica 3D incontrò Escher”
- “Il cinema come arte del movimento: dai viaggi nello spazio ai viaggi nel tempo, ai viaggi nell’inconscio”
- “Luke NON sono tuo padre! Il complesso rapporto padre-figlio nella cinematografia statunitense: da Lucas a Nolan”
Ok, ricominciamo.
Inception è un film che se hai 16 anni, hai appena letto Ubik di Philip Dick, e sei un cinefilo, ti piace parecchio: trama non lineare, citazioni, riferimenti letterari-artistici–psicanalitici-matematici mica da poco, grafica eccezionale. Tutto dannatamente ipnotico. Ché 2 ore volano così e, alla fine, ti guardi intorno come per dire: «già finito?»
E poi:
- Il tema del sogno (vecchio come la storia della letteratura) sviscerato e affrontato con originalità. Nonostante i numerosi film in materia (Matrix e tutto Michel Gondry tanto per essere chiari). Unico fattore negativo: il cervello passa i primi 40 minuti di film a urlarti: «attenzione: sogno! sogno! sogno!» e poi: «attenzione: sogno nel sogno! sogno del sogno!». Poi la smette ma è già passato mezzo film.
- La sceneggiatura (di Nolan) ricca di ottime “semine-e-raccolte” e di trovate visive eccellenti. Provate a scrivere e caratterizzare i personaggi in una narrazione basata contemporaneamente su 4 livelli. Pazzesco.
- Gli attori. Leonardo Di Caprio. Empatia (e ansia) sono alle stelle quando c’è lui .
E poi:
- la bella metafora del “ci siamo costruiti un mondo e lì siamo invecchiati insieme”. E “abbiamo avuto il nostro tempo”.
Già, il tempo, l’ossessione per il tempo “perduto” e “ritrovato”, i viaggi nel tempo che diventano viaggi nei ricordi per rimuovere e riscrivere eventi accaduti. Cancellare i sensi di colpa, vivere senza rimorsi. Niente rimpianti, solo riscritture, revisioni. Commovente.
E poi:
- il potere del meme e dell’innesto di un’idea: “l’idea è un virus” e “nessuno può rubarti un’idea”. Concetti che nell’epoca dei social network assumo dimensioni epiche.
E poi:
- l’altra lei. Ellen Page. Arianna (ché appena si presenta il cervello dice: «ok. Arianna. Il filo. Lei lo riporterà fuori. Lei lo salverà. Lei lo salverà…»). Comunque, lo dico: sono innamorato di Ellen Page (già protagonista di Juno). Nonostante sia dell’87.
E poi:
- il rapporto con il padre. («Attenzione: pericolo tesina! pericolo tesina!»)
E poi:
- tutti gli altri film scritti-diretti da Nolan: Memento, Insomnia, Batman begins. Il Cavaliere Oscuro. Torna tutto. E la storia personale di Dom Cabb (Di Caprio) sembra quasi quella di Peter Pan al contrario.
E poi:
- la musica francese. E subito pensi alla Jetée (e parte il link alle 12 scimmie di Terry Gilliam). «Ah, la musica franscese…» Edith Piaf. Non, je ne regrette rien. No, non rimpiango niente. Curiosità: Marion Cotillard, la moglie morta di Cabb era Edith Piaf nella Vie en rose.
Giudizio complessivo: eccellente. Nemmenolontanamenteparagonabile alle cose che vanno in giro di questi tempi. Il film giusto da vedere in questo inizio ottobre.
Ora vi starete chiedendo: «ok, quando arriva il “però”?»
Adesso.
E, sorpresa, non ha niente a che fare con Nolan, direttamente, ma con il modo di raccontare le storie nei nostri tempi.
Cerco di spiegarmi:
facciamo finta che i livelli di profondità dei sogni del film di Nolan siano le strutture narrative con cui abbiamo familiarità come lettori-spettatori:
Primo livello: trame lineari – modernità. Sintetizzo e riduco brutalmente: c’è un personaggio a cui accadono delle cose (inizio), lui ne provoca altre (svolgimento) e tutto si risolve in una catarsi (fine). Inizio-svolgimento-fine. Aristotele.
Secondo livello: trame non lineari – post modernità (termine brutto ma efficace). Salta la linearità inizio-svolgimento-fine. Magari la storia inizia dalla fine e poi si spiega tutto a ritroso. Aristotele è ancora lì ma le cose si fanno un po’ più complesse. Richiedono una partecipazione attiva del lettore-spettatore.
Terzo livello: trame rizomatiche e antilineari – post-post modernità (termine bruttissimo e nemmeno troppo efficace). Salta tutto. E tutto è concesso. O quasi. Lo spettatore non è nemmeno più uno spettatore ma autore a tutti gli effetti della storia che interpreta e ricostruisce con gli “indizi” e i frammenti narrativi che gli si compongono “orizzontalmente” davanti. La trottolina alla fine di Inception cadrà o no? Sogno o son desto? Chi può dirlo? Esatto: solo lo spettatore. E Aristotele? Andato.
Quarto livello: l’inconscio. il rimosso. Il livello narrativo più complesso e profondo. Il punto di non ritorno.
Ecco, la trottolina di Inception, la sfida narrativa del film è tutta lì, negli abissi del quarto livello, dove siamo soli e tutto è confuso, e i ricordi si mischiano, e non c’è più nemmeno Arianna che può indicarci la via per uscire dal labirinto. Soli e pieni di rimpianti davanti a innumerevoli ricordi e piani narrativi. Sappiamo che dobbiamo scegliere ma non sappiamo più come proseguire. Continuare a scendere, verso un quinto livello o risalire e crearne uno nuovo?
Sprofondare in una sotto-sotto-cartella o ideare un nuovo dominio?
Ecco, secondo me, Inception è un complesso, meraviglioso, spettacolare esempio di discesa in profondità. Ma non un “salto” verso nuove realtà narrative.
Non c’è nessun ritorno a casa ma solo nostos.
Non vediamo il volto sorridente dei figli e la trottolina sul tavolo ancora non si ferma e gira, gira, gira… e, a tratti, siamo pienamente coscienti che stiamo sognando un sogno in cui sogniamo di sognare un sogno dove sogniamo… che qualcuno ci svegli e ci faccia fare “il salto”. E allora: trombe a tempo di marcia, incrociamo le dita e: pà papà papà papà paaapàmpapà, papà…
un labirinto che si risolve con un altro labirinto…
alla fine si ha la impressione che la trottola totem non sia del protagonista, quanto dello spettatore
ah e tra le citazioni metterei pure donnie darko hihi
sì, giusto 😀
Interessante come sempre.
E quanto diavolo è ipnotica questa marcetta (la si può chiamare così senza essere riduttivi? della Piaf nel film!
L’ho adorato! Comunque la parola fine sull’ultima sequenza l’ha messa Sir Michael Caine. “… è reale, perché io non sono mai nel sogno.” Nessuna ambiguità e discorso chiuso. Amo Michael Caine.