Alessia (che lavora in una casa editrice) mi ha segnalato un bell’articolo sull’Espresso di questa settimana (Diavolo di un editor, C. Benedetti, 09/07/09). Prendendo spunto dalla “Questione Carver/Lish” (ovvero cosa c’è dietro il rapporto Scrittore/Editor) propone un bell’excursus di casi editoriali “ritoccati” o, addirittura, “riscritti” tanto da far sospettare a più di qualcuno che
“il 90 per cento dei libri che escono presso le grandi case editrici sembrano scritti dalle stesse dieci persone” (sic).
E magari è pure vero.
La situazione sembra molto preoccupante e si ha l’impressione di un-grande-complotto-globale-ai-danni-del-lettore (su anobii qualcuno commenta sconsolato:
“una filiera anche nell’editoria? Ormai tutto è un format!“
Tanto sembra grave e delicata la situazione che, negli Stati Uniti oggi si fa fatica a pubblicare Principianti, il libro in cui vengono presentati i racconti di Carver non tagliati e così-come-l’autore-li-aveva-scritti-senza-l’intervento-di-Lish. Pare che Lish li abbia ritoccati pesantemente a volte tagliando più del 70% e modificando titoli e finali.
Secondo me tutto questo è un falso problema. Ecco perché:
1. La questione Carver/Lish è cosa vecchia
Innanzi tutto la diatriba estivo-letteraria sui racconti di Carver è vecchia (almeno) di 10 anni e già era stata ampiamente documentata, raccontata e analizzata nel dettaglio da Baricco che era volato nella biblioteca che custodiva i manoscritti di Carver e aveva confrontato le stesure dei suoi racconti evidenziando quanto, in sostanza, detto oggi.
Lo stesso Baricco ha ritirato fuori la storia qualche mese fa proprio in occasione dell’uscita di Principianti (per essere chiari: il libro è assolutamente da comprare, leggere, analizzare, e confrontare con).
2. La questione Carver/Lish infastidisce i critici e gli ermeneuti, non certo i lettori
Seguitemi un minuto. Carver è un esordiente che scrive belle storie. Lish è l’editor che l’ha scoperto e che si occupa di renderle pubblicabili e, per questo, opera un montaggio del materiale grezzo.
(ok, sull’entità, la forma e la consistenza di questo montaggio possiamo discuterne in un altro momento qui ci interessa solo quella che in epoca industriale si chiamava la “filiera produttiva“).
Ma andiamo avanti.
Il pubblico compra i-racconti-di-Carver e i critici ne apprezzano il “minimalismo” e le “trovate stilistiche” come i “finali aperti” e tutte quelle piccole/grandi invenzioni carveriane.
Prolificano scuole di pensiero, epigoni, ecc. ecc. finché uno si accorge che tutte (o la maggior parte) di quelle “invenzioni stilistiche carveriane” erano opera dell’editor. O-mio-dio. Tragedia. Ma per chi?
Ovviamente per gli “addetti ai lavori” che avevano letto, criticato ed esaltato, non certo per i lettori a cui poco cambia che le trovate che hanno amato dei racconti di Carver siano in realtà (a questo punto) di Carver/Lish.
Ora, la domanda da farsi onestamente è:
mi sconvolge così tanto sapere che dietro la scrittura dei racconti di Carver (e che racconti) ci siano due persone anziché una?
Dico questo perché, inizialmente quando anni fa l’ho scoperto, anch’io mi sono sentito raggirato, defraudato, truffato: ma come – pensavo – quei meravigliosi finali (i-finali-a-la-carver) non sono di Carver? Ma come, quell’uso di particolari particelle linguistiche o l’asciuttezza dei dialoghi, quegli incipit che ti restano scolpiti nella mente, sono dunque frutto dei tagli brutali dell’editor?
Ecco, usciamo dal campo dell’industria editoriale.
Prendiamo l’industria cinematografica (il ragionamento funziona anche con l’industria discografica ecc.): forse ci sentiamo vittime di un complotto quando scopriamo che il finale di Dottor Strangelove di Kubrick è stato imposto dalla produzione? La cavalcata della bomba del pilota-cowboy non era di Kubrick? No, il film finiva con il Presidente e tutti i suoi collaboratori presi a torte in faccia.
Forse ci stupiamo del fatto che i migliori film di Hitchcock sono stati scritti da uno sceneggiatore che si chiamava J. M. Hayes?
O che il famoso “Capra’s touch” era in realtà del suo sceneggiatore fisso Robert Riskin (nel libro Introduzione alla sceneggiatura di D. Parent-Altier si racconta che proprio Riskin, stanco di sentir parlare i critici del “tocco di Capra” senza mai un accenno all’autore delle sceneggiature, inviò al regista un copione di sole pagine bianche con la frase: “Caro Frank, applica il tuo celebre ‘tocco’ a questo!”).
O che (ma gli esempi sono infiniti), particolari scelte di luci-colori-suoni-inquadrature che ci fanno subito riconoscere la “poetica” di un regista derivino, molto concretamente, dall’ottimo e silenzioso lavoro dei tecnici delle luci/del suono/del montaggio senza i quali, semplicemente, i film non potrebbero essere realizzati?
Il problema dei racconti di Carver è però più profondo lo so, perché riguarda i libri.
E si sa, quando si toccano i libri e la loro produzione vengono fuori posizioni difficili da comprendere.
Ricordiamolo ancora una volta, anche se non può piacere ai duri-e-puri-della-letteratura: sempre di produzione industriale si tratta e con tanto di “filiera”. Se volete, trovate un sinonimo più poetico e meno brutale ma tant’è, nella quale l’Autoreè solo il primo tassello e, in alcuni casi, nemmeno quello fondamentale.
L’impressione che si ha leggendo le opinioni sconsolate da “non-ci-sono-più-i-libri-di-una-volta” è quella del bambino che rimane deluso perché scopre che il presentatore radiofonico preferito ha una faccia che non “sta bene” con la voce che aveva amato o, per essere più concreti, che Fiorello (potere delle analogie) non scrive da solo le sue divertenti battute (e come potrebbe pover’uomo) ma per lui lo fa una equipe di bravissimi autori.
Se poi gli splendidi incipit o i commoventi finali carveriani vogliamo dire/scrivere che non sono di Carver ma di Carver/Lish facciamolo senza problemi godendoci con lo stesso piacere di prima le magnifiche pagine di letteratura che Carver (ops, Carver/Lish) ci ha/hanno regalato e leggendo i racconti di Carver non tagliati con lo stesso interesse con qui vediamo i Director’s Cut dei film che ci sono piaciuti.
Lunga vita agli editor.
3. Per essere chiari sino in fondo
Quanto è importante, in conclusione parlare del rapporto Carver/Lish?
Dipende dal contesto.
È fondamentale parlarne in ambito scolastico insieme a una bella spiegazione di come funziona la produzione di un libro nel nostro secolo.
Utilissimo parlarne in un corso di scrittura creativa per illustrare (di nuovo) come funziona la produzione di un libro e soprattuto quali sono le competenze di un editor (e fino a che punto, magari, è lecito/utile/etico che un editor intervenga tagliando il 70% di un racconto, cambiandogli titolo e finale ecc. ).
È fondamentale parlarne nelle riviste letterarie (e, perché no, nei settimanali quando arriva l’estate).
Negli approfondimenti culturali dei telegiornali per promuovere Principianti (ripeto: libro da comprare senz’altro).
Nei social network bibliofili e nei blog degli appassionati-di-carver.
Al pub con gli amici (a patto che anch’essi siano interessati allo svelamento-del-mito-carver) così finalmente anche voi avrete il vostro gossip culturalesco e, alzando il sopracciglio da esperti conoscitori di tutte le dietrologie dell’industria culturale, potrete finalmente dire alla belloccia di turno che ha letto il solito libro di Carver:
“Si, vabbè, ma lo sai che i libri di Carver praticamente li ha scritti tutti Gordon Lish, il suo editor? Ti consiglio, a questo proposito di leggere Principianti…”
Magari siete fortunati e vi dice bene.
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